Uno degli infortuni muscolari più comuni nello sport in generale, ed in particolare nel calcio, è la lesione muscolare dei muscoli ischio-crurali, o anche comunemente chiamati hamstring. Nel calcio professionistico, rappresenta circa il 20-26 % degli infortuni totali ed è quindi una delle maggiori cause di stop momentaneo degli atleti. Sono molte le ricerche ed i protocolli volti a trovare una soluzione, non solo come strumento di cura, ma soprattutto come strumento di prevenzione per questo tipo di infortunio. Una delle problematiche principali della lesione agli hamstring è la recidiva; spesso le problematiche legate a questo tipo di lesioni, anche se non completamente invalidanti rispetto alla pratica sportiva, vengono trascinate per mesi, con conseguente possibilità di ricadere in un nuovo re infortunio. Recentemente un gruppo di ricercatori, guidati da Johan Lahti, ha pubblicato un articolo sul “BMJ Open Sport & Exercise Medicine” proponendo un approccio multifattoriale ed individuale volto a ridurre il rischio di infortunio agli hamstring e strutturandolo secondo precise indicazioni e modelli. La novità di questo studio risiede nel fatto che il campione analizzato è composto da atleti professionisti appartenenti alla premier league finlandese di calcio. Inoltre, come suggeriscono gli autori, spesso questo tipo di proposta viene solitamente sviluppata in ambito riabilitativo e non in quello preventivo, come invece propone questo studio. A nostro avviso è di estrema importanza poter utilizzare dei programmi validi soprattutto in ambito preventivo, e non solo riabilitativo, proprio per l’alta recidività di questo tipo di infortunio.HMI e fattori di rischio
I fattori di rischio per l’infortunio muscolare degli hamstring si possono suddividere, così come per la maggior parte degli infortuni in generale, in modificabili e non modificabili (genere, età, infortuni pregressi etc). Tra i fattori modificabili, come propongono gli autori, un preparatore fisico può lavorare ed intervenire sulla forza muscolare, il controllo lombo-pelvico, la tolleranza alla fatica, l’architettura muscolare ed il range di movimento articolare. Inoltre, un aspetto innovativo su cui gli autori si focalizzano, è l’analisi della tecnica del movimento negli sprint di alta velocità e l’inserimento di questa tipologia di esercizi all’interno del protocollo di prevenzione. Questo perché è stato visto che la cinematica non ottimale negli sprint, così come la mancata esposizione a sprint a velocità massima in allenamento, sono fattori di rischio associati all’infortunio muscolare agli hamstring, soprattutto in quegli sport, come il calcio, in cui sprint e accelerazioni sono tra le più comuni forme di spostamento. Il fatto che l’attività muscolare degli hamstring, durante sprint ad alte velocità, sia maggiore di quella raggiunta con gli esercizi più comuni per il loro rinforzo, rende l’ high-speed sprinting un ottimo strumento sia di allenamento, che di prevenzione.Approccio individuale e multifattoriale
Come abbiamo descritto, sono molteplici i fattori che influenzano il rischio di infortunio muscolare agli hamstring, ed è per questo che l’approccio che gli autori propongono è multifattoriale e comprende varie tipologie di allenamento e di monitoraggio. È inoltre importante sottolineare che il tipo di programma utilizzato per ogni atleta, deve essere individualizzato ed adattato a quell’atleta specifico alla luce di una valutazione iniziale volta a mettere in evidenza eventuali carenze associate al rischio di infortunio.Proposta di screening iniziale
Lathi e colleghi, suggeriscono di utilizzare uno screening iniziale per poter progettare in maniera individuale il protocollo di prevenzione e di ripetere lo screening prima e dopo i periodi competitivi.
I test utilizzati, riportati nella figura 1, sono suddivisi in 4 principali categorie, che a loro volta rimandano ad uno o più test all’interno di quella categoria.
Figura 1 – Protocollo di screening per la lesione muscolare degli hamstring.Controllo Lombo-Pelvico
La prima categoria di test utilizzati riguarda il controllo lombo-pelvico. Il “walk test” è un test in cui viene utilizzato un sensore inerziale, per rilevare i gradi di rotazione del bacino sul piano frontale e sagittale durante la camminata (10 metri in avanti, 10 indietro) con il sensore posizionato a livello della giunzione lombosacrale. Il secondo test appartenente a questa categoria, il “kick back”, è una valutazione qualitativa del movimento durante il test dello sprint di 30 metri, appartenente all’ultima categoria nell’immagine (Sprint mechanical output).
Il “Kick back”, nello specifico, è una misura indiretta del controllo lombo-pelvico sul piano sagittale durante movimenti di sprint. La cinematica dell’atleta viene analizzata durante due specifici momenti: durante il contatto con il terreno (touchdown) ed il distacco dal suolo (toe-off) (figura 2).
Quando l’arto considerato si muove principalmente dietro al centro di massa del corpo, è presente un meccanismo di “kick back” che gli autori, sia su base empirica, che sulla base di studi precedenti, riportano essere meno ottimale rispetto ad un movimento in cui lo stesso arto si muove prossimo al centro di massa corporeo. Quest’analisi qualitativa, può indirettamente essere calcolata tramite il “kick back score”, un valore che ci può far capire numericamente quanto la tecnica di movimento utilizzata si discosti da quella che è considerata ottimale.
Kick back score = angolo al bacino durante il toe-off + angolo al bacino durante il touchdown. (figura 2)
L’angolo considerato è dato dall’asse orizzontale e quella parallela alla coscia (grande trocantere – condilo laterale del femore).
Figura 2 – Meccanismo di Kick-back e formula per il Kick- back score.Range of Motion (ROM) tests
La seconda categoria nel protocollo di screening riguarda i gradi di movimento delle articolazioni degli arti inferiori. I test utilizzati sono l’Active Straight Leg Raise (ASLR) ed un nuovo test chiamato “Jurdan test”. Nell’ASLR viene misurata la flessibilità degli hamstring elevando l’arto inferiore dalla posizione supina (figura 3). Il Jurdan test è invece una variante del più comune Thomas test, che è un test che rileva deficit di ROM articolare dovuti ad accorciamenti dei flessori dell’anca. Il Jurdan test vuole invece valutare l’interazione tra i flessori dell’anca e la flessibilità degli hamstring, poiché la loro relazione è importante soprattutto durante movimenti di sprint. Nel Jurdan test il paziente è supino (figura 4) con un arto inferiore che cade al di fuori del lettino, mentre si produce una flessione attiva dell’anca (90°) ed un’estensione attiva del ginocchio della gamba contro laterale, mantenendo la zona lombare a contatto con il lettino. Il risultato finale è ottenuto tramite la differenza tra l’angolo formato dall’asse della gamba elevata e quello formato dall’asse della coscia della gamba contro laterale, entrambi relativi all’asse orizzontale (figura 4). Il fatto che questo risultato numerico sia dato da valori relativi ad entrambi gli arti, ci fa capire che questo test non si focalizza sul comprendere quali dei due arti sia il più problematico, ma cerca invece di analizzare l’interazione tra i due. Un dato del genere può essere molto utile quando si analizzano le azioni di corsa o di sprint ad alta velocità, in cui il movimento ottimale è prodotto dall’unione dei due arti che compiono un movimento complesso in maniera coordinata, in cui è quindi l’interazione tra i due che definisce la qualità di quel movimento specifico.
Figura 3 – ASLR Figura 4 – Jurdan Test
Forza della catena posteriore
La terza categoria di test riguarda i test di forza. I due test considerati sono quelli per l’estensione dell’anca e la flessione del ginocchio. Nel protocollo riportato nell’articolo viene utilizzato un dinamometro portatile e l’atleta viene testato in posizione prona, a 30° di flessione del ginocchio per misurare la forza degli hamstring (resistenza posta sul tallone) e a 95°-100° di flessione del ginocchio per misurare la forza degli estensori dell’anca (resistenza posta sulla tibia distale) (fig 5).
Figura 5 – Test di forza degli hamstring (sinistra); Test di forza degli estensori dell’anca (destra).Meccanica di Sprint
L’ultima categoria riportata nello schema descritto, riguarda test di sprint su 30 metri, che vengono effettuati dopo il normale riscaldamento previsto per questo tipo di esercitazioni. Da questi test, con l’utilizzo di strumenti di motion capture, viene calcolato il tempo, la velocità massima raggiunta e, utilizzando modelli di analisi dinamica inversa, viene calcolata la forza orizzontale, tracciando i profili della relazione di forza-velocità di sprint degli atleti.
Sviluppo del protocollo di prevenzione in base ai risultati dello screening
Il programma di prevenzione, da quanto è suggerito dagli autori, è sviluppato seguendo le stesse quattro categorie descritte nel protocollo di screening. Per ogni categoria, ad ogni atleta viene assegnato un punteggio o giudizio, che indicherà se quell’atleta è carente o meno per quel tipo di categoria, in modo tale da poter sviluppare un programma individuale sulla base delle carenze mostrate in ognuna delle quattro macroaree. Gli esercizi consigliati, sono gli stessi per ogni atleta, sia per gli atleti che non mostrano specifiche carenze, che per quelli che devono colmare specifici decifits: quello che cambia è il volume dell’allenamento. Quindi la caratteristica principale per individualizzare il protocollo di prevenzione non è il tipo di esercizio, poiché esercizi di prevenzione sono utili a tutti a prescindere da eventuali problematiche, ma il volume dell’allenamento. Di conseguenza anche gli atleti che non presentano specifiche carenze sono comunque tenuti a seguire il protocollo di prevenzione, seppur con volumi minori di allenamento. Gli autori consigliano una frequenza settimanale di allenamento preventivo che varia dalle due sedute, per chi non mostra specifici deficits, alle quattro sedute, per chi è risultato invece più carente nello screening, relativo ad ognuna delle quattro categorie. Per chi mostra invece asimmetrie nei ROM tests e nei test di forza, si consiglia di aumentare il volume di allenamento con modalità mono-articolare, concentrandosi sull’arto più carente. In generale, i parametri di forza e di “sprint mechanical output” vengono considerati i più correlati alla diminuzione del rischio di infortunio muscolare agli hamstring, e, suggeriscono gli autori, gli atleti che mostrano risultati buoni ma non ottimali in questi test, vengono comunque considerati carenti nelle relative categorie, ed il loro programma di prevenzione viene progettato di conseguenza.
Il modello del protocollo di prevenzione (figura 6) segue le quattro categorie già utilizzate nel modello di screening, con l’aggiunta di un’ultima categoria di allenamento, comune a tutti gli atleti. Questa prevede l’allenamento dell’high-speed sprinting, della flessibilità post allenamento (soprattutto per rilassare la catena cinetica posteriore post-workout), viene inoltre suggerito di dare attenzione particolare alla salute del tricipite surale per il miglioramento della tolleranza al carico e per ultimo, l’inserimento della terapia manuale ove possibile (in alternativa, viene consigliato l’utilizzo del foam roller)
Conclusioni
Ogni categoria rimanda a specifici esercizi, che non sono qui riportati ma che sono descritti nel dettaglio e consultabili nelle tabelle dell’articolo originale (vedi link in basso). Questa modalità di sviluppo e organizzazione può risultare molto utile quando tempo e risorse sono poche e bisogna ottimizzare il lavoro, garantendo però l’individualizzazione del programma di prevenzione in relazione alle carenze specifiche di ogni atleta. In questo modo anche monitorare l’andamento della squadra e valutare gli effetti del protocollo utilizzato risulterà più semplice nel lungo periodo. Ancora non sappiamo i risultati dello studio, che paragonerà l’incidenza degli infortuni muscolari agli hamstring della stagione 2019, in cui sono stati eseguiti solamente i test di screening, a quella della stagione 2020, in cui viene applicato in aggiunta il protocollo di prevenzione. Gli autori stimano che un programma strutturato in questo modo può avere diminuzioni dell’incidenza degli infortuni superiore al 60%. Anche se ancora non sappiamo i risultati di questo studio, il modello multifattoriale e individualizzato proposto dagli autori, può essere uno strumento utile per lo sviluppo del nostro protocollo di lavoro per la prevenzione ed il RTP in seguito a infortuni agli hamstring e soprattutto di monitoraggio degli atleti nel tempo per questo tipo di problematica. La suddivisione nelle quattro categorie, ed il tipo di protocollo preventivo associato ad ogni categoria in base ai risultati dello screening, rende di facile comprensione la loro proposta e facilità la replicabilità di questo tipo di intervento. Sicuramente la ricerca, così come la pratica sul campo, devono continuare ad indagare e a proporre nuovi strumenti per la cura e prevenzione delle lesioni muscolari agli hamstring, poiché sono infortuni molto comuni e che tutt’oggi portano via agli atleti settimane/mesi di allenamento. L’aggiornamento e l’informazione utile che possiamo trarre da questo tipo di studi può fare da spunto per nuove riflessioni e nuove proposte pratiche che partono però da modelli scientifici e strutturati in base alla letteratura esistente ed i preparatori fisici possono per primi portare sul campo queste proposte per unire i suggerimenti che provengono dalla ricerca alla loro esperienza pratica.Fonte
Lahti J, Mendiguchia J, Ahtiainen J, et al Multifactorial individualised programme for hamstring muscle injury risk reduction in professional football: protocol for a prospective cohort study. BMJ Open Sport & Exercise Medicine 2020;6:e000758. doi: 10.1136/bmjsem-2020-000758
https://bmjopensem.bmj.com/content/6/1/e000758