INTRODUZIONE
Uno degli argomenti più trattati nella storia dell’allenamento è quello sicuramente che ha come protagonista l’acido lattico, molecola scoperta dal chimico svedese Carl Wilhelm Scheele nel 1780. Non tutti inizialmente furono d’accordi sull’originalità di questa scoperta tant’è che solo nel 1833 si arrivò a determinare la sua formula chimica.
Otto Fritz Meyerhoff e Archibald Vivian Hill (entrambi premio Nobel nel 1922)furono i primi a parlare della produzione di acido lattico in seguito a lavoro muscolare. Meyerhoff spiegò molte delle tappe della via di degradazione del glucosio, dimostrando che l’acido lattico non è altro che un prodotto della glicolisi anaerobica, mentre Hill si occupò della conversione del piruvato in lattato, chiarendo le caratteristiche del meccanismo glicotico, quello che interviene, soprattutto, quando la richiesta energetica eccede i livelli garantiti dell’ossigeno nei tessuti. Attraverso questo sistema di produzione dell’acido lattico è possibile mettere a disposizione dei muscoli una grande quantità di energia. Proprio Hill teorizzò come il muscolo, grazie al meccanismo lattacido, può proseguire a contrarsi, pur in un ambiente povero di ossigeno, anche per decine di secondi o per pochi minuti.
L’italiano Rodolfo Margaria e coll., nel 1933, dimostrarono che la concentrazione di acido lattico nel sangue e connessa alla variazione nel sangue dei livelli di pH, confermata poi da altri autori (Sahlin et al.,1976; Spriet et al., 1987, Bangsbo et al. 1990, 1998, solo per citarne alcuni).
Gli studi di Margaria e del suo gruppo, continuarono poi nell’approfondimento in misure effettuate in esercizi sottomassimali , massimali e nello studio dell’equivalente energetico dell’acido lattico (saranno approfonditi nella seconda parte di questo articolo)
CHI FU IL PRIMO A PARLARE DI SOGLIA?
Ma chi per primo ha cominciato a parlare di soglia? Chi ha introdotto l’idea che al di sopra di determinate intensità di esercizio le richieste energetiche potevano essere coperte dal metabolismo anaerobico, in aggiunta a quello aerobico?
La paternità viene data al fisiologo tedesco Wildor Hollmann che nel 1959, al “Third Pan-American Congress of Sport Physicians” a Chicago, che commentando l’andamento di alcuni parametri fisiologici in uno sforzo a carichi crescenti al cicloergometro, introdusse l’idea che al di sopra di certe intensità di esercizio la richiesta energetica potesse essere coperta dal metabolismo anaerobico, in aggiunta a quello aerobico.

Il termine vero e proprio venne introdotto nel 1964 da Wasserman e Mcllory che, per definire in un test a carichi crescenti, un punto in cui si aveva un brusco aumento della ventilazione e di altri parametri, parlarono di “soglia anaerobica” come il passaggio tra due condizioni: da quella completamente aerobica a quella parzialmente anaerobica. Essendo basata sull’analisi dell’andamento di parametri ventilatori, la soglia determinata con le metodiche successive codificate da Wesserman venne appunto definita “ventilatoria”. Ma erano sperimentazioni su test di tipo incrementale, ossia con l’aumento di decine di watt ogni 30”-60” e comportarono 2 grosse incomprensioni: l’utilizzo dei test incrementali per l’individuazione della soglia e il concetto che ci fosse una linea di demarcazione tra il metabolismo aerobico e quello anaerobico.
Karl Wasserman’s Laboratory. Harbor General Hospital, 1992
GLI STUDI SULLA CINETICA DEL LATTATO E LA NASCITA DEL MITO DELLA SOGLIA A 4 MMOL/L DI LATTATO
Sul finire degli anni Settanta, Heck e Mader, avevano notato che la soglia anaerobica corrisponde mediamente a una concentrazione di 4 mmol/l (millimoli per litro) di lattato ematico. Questo valore ha assunto con il tempo un’importanza emblematica, al punto da essere utilizzato in termini pratici spesso con eccessiva disinvoltura scientifica per individuare la soglia anaerobica non solo nei test incrementali, ma anche in quelli a carico costante e negli esercizi sportivi di qualsiasi genere (dalla gara in bicicletta alla partita di calcio…il che ha generato non poca confusione e sovente grossolani errori interpretativi!)
Al fine di rendere utilizzabile la cinetica dei lattato per il controllo e la programmazione dell’allenamento Heck e Mader (1976) definirono la soglia del lattato come la zona di passaggio tra la prestazione del metabolismo energetico muscolare coperta da quello puramente aerobico a quella nella quale interviene parzialmente anche il metabolismo anaerobico lattacido. Questa zona caratterizza la capacità di prestazione di resistenza, se con essa si intende la massima capacità di prestazione, che sul piano energetico è coperta per via puramente aerobica. La soglia aerobico – anaerobica, come avviene in tutti i processi biologici, non viene superata repentinamente, ma con gradualità. Quale criterio per il rilevamento della soglia aerobico – anaerobica nelle prove ergospirometriche può essere scelto l’incremento dei lattato nel sangue periferico a 4 mmol/l , ad esempio durante un test incrementale.

A tal proposito è importante ricordare che Heck e Mader nella descrizione della loro metodica hanno fatto riferimento ad alcune condizioni essenziali, che purtroppo ancora oggi, probabilmente per ignoranza dei rapporti fisiologici, sono motivo di controversie. Ad esempio la durata dei carico di lavoro non dovrebbe essere inferiore a 4 minuti , meglio se è tra i 5 e i 10 minuti, altrimenti, come è accaduto, si può incorrere in equivoci sulla utilizzabilità e la validità dei concetto di soglia aerobica – anaerobica. Ad esempio, utilizzando una metodologia dei test basata su criteri tradizionali, con carichi di lavoro di durata relativamente breve (2 o 3 min), un ricercatore critico si sarebbe dovuto accorgere che, nel caso di un esperimento diretto a validare i risultati di una ricerca (ad esempio, carichi di lunga durata in laboratorio o in campo), questi non sarebbero stati confrontabili. Invece molti altri ricercatori hanno cercato di mettere a punto numerose altre metodologie di soglia.
Riassumendo, si può affermare che Mader e coll., stabilendo la cosiddetta “soglia fissa” a 4 mmol/l, hanno ricercato un criterio che permettesse la quantificazione di quella prestazione che fosse stata tollerabile per un periodo di tempo più lungo.
A seguito dei lavori di Heck e Mader , Kindermann e coll (1978), teorizzarono un modello nel quale era possibile distinguere 2 particolari breakpoints. Il primo identificabile all’interno di un regime di bassa intensità fu identificato come Soglia Aerobica (Aerobic Threshold). Tale soglia individuava un range all’interno del quale il metabolismo esclusivamente coinvolto era quello di tipo aerobico, in cui il contributo energetico deriva unicamente dalla combustione di grassi e zuccheri.
Per una migliore applicazione dei concetto di soglia nel campo dell’allenamento e per ragioni didattiche ne hanno poi ridefinito il concetto, proposto da Mader, identificando 3 zone:
–la zona delle 2 mmol/l come soglia aerobica;
–la zona tra 2 mmol/l e 4 mmol/l come soglia aerobica- anaerobica.
-la zona delle 4 mmol /l come soglia anaerobica

DETERMINAZIONE DELLA SOGLIA ATTRAVERSO LA FREQUENZA CARDIACA
Conconi et al. (1982), per mezzo di un metodo non invasivo, hanno proposto di determinare la “soglia anaerobica” attraverso la relazione tra la velocità e la frequenza cardiaca (FC) la velocità di soglia anaerobica si identifica in coincidenza dei punto in cui la FC si scosta dalla linearità in un test a carichi crescenti, (FC di deflessione).
Conconi aveva rilevato che in prossimità della soglia anaerobica la relazione tra frequenza cardiaca e intensità di lavoro non fosse più lineare.
Utilizzando quindi la frequenza cardiaca in un test a carichi crescenti, attraverso l’identificazione del punto di deflessione nella curva, veniva identificata la soglia anaerobica.
Questo fenomeno della cessazione della linearità tra l’incremento del carico esterno e l’incremento della frequenza cardiaca era già noto negli anni ’60, in relazione allo studio della soglia ventilatoria. Ma con l’avanzare dell’utilizzo dei cardiofrequenzimetri, si potenziarono la falsa idea che l’utilizzo di questo test potesse individuare la soglia e ci fosse una “linea di confine” tra il metabolismo aerobico e quello anaerobico.
CONCLUSIONI (1° parte)
I test presi in considerazione erano tutti di tipo incrementale. E’ evidente infatti che una data concentrazione ematica di lattato ha un significato diverso se è raggiunta, dopo 30 secondi, dopo 15 minuti, o a seguito di lavori intermittenti, intervallati, ecc ecc;
Non esiste nessuna linea di demarcazione tra il metabolismo aerobico e anaerobico in quanto tutti i sistemi di risintesi dell’Atp sono sempre attivi;
Il valore di 4 mmol/l dato da Mader era un valore medio in base ai suoi studi, infatti tale valore si può discostare anche di 1mmol/l dal valore medio;
La concentrazione di 4 mmol/l è espressione di sforzi fisici ed equilibri interni estremamente diversi quando sia riscontrata in una partita di tennis o di calcio piuttosto che al cicloergometro, e si deve stare dunque attenti a non cadere in interpretazioni errate del suo significato, assimilandolo a quello che assume in esercizi a carico costante o incrementale.
Bibliografia
- Fisiologia muscolare, Rodolfo Margaria 1975
- Dalla parte del ciclismo, Bonarrigo-Sassi 2004
- Acido lattico e Sport, Arcelli 2014
- Presentazione di Ulli Hortmann al convegno medicina dello sport di Firenze, 1998
- Wasserman e Mcllory – Detecting the threshold of anaerobic metabolism in cardiac patients during exercise – 1964
- H Heck, A Mader, G Hess, S Mücke, R Müller, W Hollmann -Justification of the 4-mmol/l lactate threshold -1985
PhdS presso UCAM Catholic University of Murcia
Laurea Magistrale in Scienze e Tecniche dello Sport all’Università di Tor Vergata (Roma)
CSCS (Certified Strength and Conditioning Specialists)